Ci vollero
ancora otto
anni prima che
quello schizzo
iniziale prendesse finalmente
corpo: alla
fine di agosto
del 1865, Wagner
delineò
in diciannove
pagine l’argomento
e i suoi personaggi.
Da
quella traccia
delineata nel
1865, furono
necessari ulteriori
dodici anni
al compositore
per impossessarsi
di tutti i tasselli
del mosaico
concernenti
il libretto
dell’opera.
Soltanto
nel giorno di
Natale del 1877,
infatti, Wagner
completò
il testo dell’opera
e ne inviò
una copia con
dedica all’amico
e protettore
Franz Liszt.
Nessun altro
lavoro del musicista
tedesco ebbe
un parto così
lungo e sofferto.
Perché
tanta lentezza
nella composizione
di quest'opera?
Non bastano
a giustificarla
la
costruzione
e le conseguenti
e ingenti spese
del teatro di
Bayreuth, e
neppure la lunga
gestazione dell’altra
opera, Die Meistersinger
von Nürnberg
(I
cantori di Norimberga),
composta tra
il 1861 e il
1867 e andata
in scena nel
giugno del 1868.
I
motivi di questo
travaglio furono
ben altri. Wagner,
le cui condizioni
di salute cominciavano
a dare segni
di cedimento,
si era reso conto
che il Parsifal
avrebbe rappresentato
il suggello
finale della
sua visione
artistica:
Parsifal, ai
suoi occhi,
avrebbe dovuto
esprimere
la redenzione
dell’uomo accolto
dal divino attraverso
il miracolo
dell’amore.
In
superficie,
questo messaggio
universale poteva
essere rappresentato da
una determinata
simbologia,
la
ricerca del
Sacro Graal,
e da un soggetto
che univa la
purezza
del proprio
essere, intesa
non tanto come
verginità
della carne,
quanto come
innocenza del
cuore, con una
semplicità
disarmante dello
spirito.
Una semplicità
così
assoluta da
essere scambiata
per follia agli
occhi di chi
era “impuro”.
Parsifal,
appunto,
era colui che
incarnava in
sé questi
due doni divini:
non per nulla,
nella lingua
araba, il suo
nome significa
esattamente
puro folle.
Edwin Austin Abbey, Sir Galahad scopre
il Santo Graal,
1895
Parsifal
sarebbe stato
dunque, a prima
vista, l’elemento
capace di redimere
l’uomo,
di riportarlo
sul sentiero
della salvazione.
Con questa sua
opera conclusiva
Wagner avrebbe
portato a termine
quella trasmutazione
spirituale iniziata
con la titanica
rappresentazione
dell’universo
nibelungico
della tetralogia,
passata poi
attraverso la
dimensione pessimistica
descritta nel
Tristan und
Isolde e
giunta, infine,
con il Parsifal,
al distacco
progressivo
della realtà
e alla rinuncia
della conoscenza
razionale del
mondo.
Un
Wagner che,
partito dalla
distruzione
del Walhalla,
l’Olimpo degli
dei nordici,
era arrivato,
come vuole una
certa “tradizione”
filosofica e
musicologica,
ad «inginocchiarsi
di fronte alla
Croce»,
per usare l’espressione
del suo grande
amico-nemico
Friedrich Nietzsche,
colui che aveva
sperato di vedere
nel compositore
tedesco il
vendicatore
di Dioniso,
il simbolo dell’arte
tragica greca,
vinto e umiliato
da Gesù
agli albori
del Cristianesimo.
E'
noto che, dopo
aver ricevuto
nel 1878 da
Cosima Wagner
il libretto
dell’opera,
Nietzsche
ebbe parole
di fuoco nei
confronti del
musicista,
con il quale
era già
entrato in contrasto,
al punto da
mettere in crisi
la stima reciproca
di un tempo.
A suo avviso
il Parsifal
simboleggiava
il tradimento
di un ritorno
all’ideale pagano
a favore di
una visione
decadente cristiana:
Dioniso, ancora
una volta, per
il filosofo
di Röcken,
era stato dunque
sconfitto da
Gesù,
attraverso la
visione distorta
del musicista
di Lipsia.
La
diatriba di
Nietzsche contro
Wagner giunse,
quindi, all’ultimo
atto proprio
in concomitanza
con l’ultima
opera del musicista
tedesco. I due,
che erano stati
grandi amici
(in una lettera
del 10 aprile
1888 a Georg
Cohen Brandes,
Nietzsche, ricordando
Wagner con uno
slancio di nostalgia,
scrisse: «Per
alcuni anni
abbiamo avuto
in comune tutto,
sia le cose
grandi sia le
piccole: tra
noi regnava
una fiducia
senza limiti»),
seppure con
qualche attrito
e incomprensione,
nel corso del
tempo presero
due sentieri
diversi. Con
la lettura del
libretto del
Parsifal
da parte del
filosofo tedesco,
il contrasto
divenne del
tutto insanabile
e accelerò
la definitiva
rottura del
loro sodalizio.
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