L'Uroboros
è
un simbolo che attraversa
molteplici tradizioni
e che ancora oggi
è oggetto
di riflessione e
perfino di venerazione
da parte di circoli
ermetico-esoterici. Esso
è presente
nella tradizione
gnostica, ermetica
ed alchemica
e le sue origini
sono ancora più
lontane, perdendosi
lungo le valli
del Nilo.
Pare si ispirasse
originariamente
alla forma della
Via Lattea,
dal momento che
in alcuni antichi
testi essa era considerata
un enorme serpente
di luce che risiedeva
nel cielo e circondava
tutta la terra;
rappresenta la
natura ciclica delle
cose, la teoria
dell'eterno ritorno,
e tutto quello che
è rappresentabile
attraverso un ciclo
che ricomincia dall'inizio
una volta che ha raggiunto
la propria fine.
In alcune rappresentazioni
il serpente è
rappresentato mezzo
bianco e mezzo nero
e richiama il
simbolo dello Yin-Yang,
che illustra la
natura dualistica
di tutte le cose
ed il concetto
che gli opposti
non sono in conflitto
tra loro.
Questa
particolare ed affascinante
rivisitazione del
cerchio
sembra quindi raccogliere
in sé profondi
significati, rimandando
ad altri simboli
ed altri concetti. Il
difficile è
comprendere quali.
Partirò quindi
dall'etimologia
del nome, cercando
di far luce su un
argomento in sé
oscuro.
Uroboros
(o Ouroboro, Ourorboros,
Oroborus, Uroboros
o Uroborus) è
un termine di origine
incerta: per lo
più si ritiene
infatti che derivi
dal greco, e precisamente
da οὐρά, -ᾶς,
"coda",
e dalla radice βορ-
che ritroviamo in
βορά, -ᾶς,
"cibo".
Letteralmente, perciò,
si tratterebbe di
"colui che
si mangia la coda",
il che è
pienamente conforme
all'iconografia
dell'Uroboros.
Tuttavia
alcuni considerano
questo etimo
una lectio facilior
e contropropongono un'altra etimologia, che vorrebbe
Uroboros come derivato
da un originario
Uroburu, dal copto ouro, “re”, e
dall’ebraico ob, serpente, e quindi Re
Serpente.
In
realtà il
simbolo del
serpente Uroburu è ancora più antico: esso nacque presso gli Egizi come anello di congiunzione tra le quattro divinità
cosmiche Sithis, Iside, Osiride e Horus, e fu
adottato in seguito da innumerevoli tradizioni religiose e sapienziali,
compresa quella
ermetica in lingua
greca: di qui la
grecizzazione del
nome.
Nella
trattazione classica
questo simbolo rappresenta
l’eterna ciclicità
delle cose tutte,
che hanno inizio
da una fine precedente,
e una fine che genera
un nuovo inizio.
Tale prospettiva
può essere rivolta
sia verso espressioni
sociali, quali il
corso di una civiltà,
sia verso la rappresentazione
della teoria dei
cicli cosmici,
sia verso i cicli
interiori dell’uomo.
Già
3.000 anni fa in
Egitto questo simbolo
risultava legato
al ciclo temporale
delle stagioni e
degli astri:
una parte della
cosmogonia egizia
individuava nel
serpente che striscia
fuori dal ventre
del caos il principio
dinamico ed ordinatore
del mondo.
Il movimento come
tempo, il tempo
come movimento,
da cui è
facile immaginare
l’ulteriore passaggio
verso l’eterna circolarità
degli elementi tutti.
Negli
Hieroglyphica di
Orapollo (qui proposti
nella traduzione
in volgare di M.
Pietro Vasolli da
Fiuizano) leggiamo:
Quando
[gli Egizi] vogliono scrivere
il Mondo, pongono
un Serpente che
divora la sua coda,
figurato di varie
squame, per le quali
figurano le Stelle
del Mondo. Certamente
questo animale è
molto grave per
la grandezza, si
come la terra, è
ancora sdruccioloso,
è simile
all’acqua: e muta
ogn’anno insieme
con la vecchiezza
la pelle. Per la
qual cosa il tempo
facendo ogn’anno
mutamento nel mondo,
diviene giovane.
Ma perché
adopra il suo corpo
per il cibo, questo
significa tutte
le cose, le quali
per divina provvidenza
son generate nel
Mondo, dovere ritornare
in quel medesimo.
Dall’Antico
Egitto, grazie ai
Fenici, questo simbolo
giunge in Grecia
e viene impregnato
di altri significati
filosofico-religiosi,
per poi essere raccolto
dalla Roma Imperiale,
da confraternite
gnostiche, e successivamente
in ambito alchemico
ed ermetico, fino
ai giorni nostri,
in cui la molteplicità di
significati attribuiti
a questo simbolo spesso
confonde, più
che chiarire.
E’
infatti inevitabile
chiedersi se, oltre
ad una valenza universale
riconosciuta da
tutte le culture,
l'Uroboros non
assommi in sé anche
valori attribuiti
dalla particolare
prospettiva
delle varie comunità
magico-iniziatiche
che lo hanno adottato.
Ad esempio, in comunità
sapienziali espressioni
di società
agricole, che hanno
quindi nel corso
delle stagioni il
fulcro della loro
continuità,
l'Uroboros rappresenta
la sintesi
dell’eterno alternarsi
di riposi, semine
e raccolti; ma cosa
possiamo dire di
esso quando viene eletto
come simbolo da ermetisti, gnostici,
filosofi o alchimisti?
Difficile
rispondere, ma almeno
proviamoci.
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