Tutte le immagini del grafico olandese
diventano dei mezzi, a suo parere più diretti della parola, in grado di
esprimerne le idee personali riguardo la realtà e le leggi matematiche che la
governano: un linguaggio visuale che traduce, seppur in modo imperfetto, le
immagini mentali concretizzandole in figure impossibili e in giochi di
riflessi. In questo senso lo specchio nelle mani di Escher è uno strumento per
indagare la struttura dello spazio e per dare un corpo e un volto alla
dialettica conflittuale tra le dimensioni, stando sempre all'interno
dell'illusione del disegno, capace di suggerire volumi e profondità, lì dove
mancano.
Anche nel caso della divisione regolare del piano, infatti, ritorna
questo tema perché, mentre l'occhio osserva la superficie disegnata, segue i
contorni delle figure, le rapporta agli sfondi, quasi le tocca, e le rende
vive, cioè tridimensionali, staccandole dal piano e animandole nello spazio. Il
contrasto di figura e sfondo crea così un senso di plasticità dove ci sono solo
sagome immobili confinanti le une con le altre, tanto che i riflessi speculari
che riempiono la superficie sembrano prendere vita e abbandonare il piano che
hanno diviso in maniera simmetrica e regolare.
Lo specchio in un artista come
Escher, interessato a strutture cristalline, figure geometriche e specchi
magici, è collocato tra arte e scienza, proprio come tutta l'opera di questo
grafico con la passione per l'infinito: i principi d'ordine che dominano la
natura si manifestano così in composizioni che gettano un ponte tra arte e
scienza, due modalità di studiare il miracolo dello spazio e della
tridimensionalità. Sull'agenda tascabile del 1950 Escher a questo proposito
riporta una citazione di José Ortega y Gasset: "È impossibile capire bene
gli essere umani se non ci si rende conto che la matematica scaturisce dalla
stessa fonte della poesia, cioè dal dono dell'immaginazione" (1). È
proprio l'immaginare mondi, che confermano ma allo stesso tempo rendono assurda
e contraddittoria la realtà, a spingerlo a esplorare visivamente territori
sospesi tra l'arte grafica e i concetti di prospettiva, tassellatura del piano,
simmetria e riflessi speculari. Con le sue stampe, infatti, Escher intende
indagare la possibilità stessa della rappresentazione in rapporto alla nostra
percezione dello spazio sempre a partire dall'inganno e dall'illusione, più o
meno consapevole, che la riproduzione di una situazione spaziale su una
superficie piana provoca.
Due sono i sentieri per inoltrarsi tra le immagini di
Escher, verso la regione magica degli specchi e dei loro riflessi:
-
il primo
conduce allo specchio come compenetrazione di mondi simultanei in rapporto alla
struttura dello spazio e ai passaggi di dimensione, dal reale alla finzione del
riflesso e del disegno;
Escher,
Reptiles, 1943
-
il secondo conduce invece allo specchio come
moltiplicatore di forme in rapporto alla divisione regolare del piano, alle
simmetrie e alle metamorfosi di elementi astratti e geometrici in forme
viventi, ma anche al ruolo dei riflessi speculari nell'embriologia
caleidoscopica elaborata ai nostri giorni dallo scienziato evoluzionista
Richard Dawkins. Lo specchio in quest'ultima accezione partecipa al processo
generativo delle forme organiche perché le mutazioni casuali che nel corso dell'evoluzione
possono verificarsi in un punto dell'organismo in base alle loro simmetrie, per
esempio quella bilaterale dell'uomo o quella radiale delle meduse, si
riflettono secondo "effetti specchio" anche nel resto del corpo. La
riflessione quindi regola sia la disposizione delle singole parti nei viventi sia la distribuzione delle figure che nelle
composizioni di Escher dividono il piano.
Escher, Circle limit IV,
Heaven and Hell, 1960
Lo specchio avvia una meditazione
visiva che tocca lo spazio e le simmetrie, l'illusione percettiva e gli effetti
speculari nella formazione dei viventi e dei cristalli, simboli di regolarità,
perfezione e bellezza, la simultaneità di mondi e la tassellatura del piano,
mettendo al centro il problema della spazialità come conflitto tra la realtà
tridimensionale e quella bidimensionale. Tutta la ricerca di Escher, infatti,
mette in risalto la simulazione di spazi e volumi sulla superficie: semplici
macchie di colore si staccano dal fondo, sembrando vive e in movimento, mentre
forse dietro lo specchio esistono mondi reali con una loro profondità e un loro
corpo. Anche le storie illustrate e le metamorfosi del grafico olandese
suggeriscono dinamicamente trasposizioni dal piano nello spazio e viceversa in
quanto i suoi personaggi perdono e acquistano tridimensionalità all'interno
della stessa immagine in un continuo gioco di passaggi dimensionali, con forme
astratte e geometriche che diventano vive e corpi che si dissolvono nel piano.
(1) J. Ortega y
Gasset, Credere e pensare, in J.W.Vermeulen, Mi aggiro là dentro tutto solo, in
M.C.Escher, Esplorando l'infinito, Garzanti, Milano 1991, p. 167-168.
Vermeulen, amico personale di Escher negli anni della maturità, traccia in
questo scritto un ritratto soggettivo del grafico, fornendoci interessanti
informazioni sulla sua personalità, la sua infanzia, i suoi rapporti con la
famiglia e il suo modo d'intendere l'arte. Apprendiamo così per esempio che
Escher amava viaggiare per mare perché il mare era per lui una specie di
rifugio; sulla nave, lontano dallo studio e dal lavoro ossessivo, riusciva
infatti a liberarsi dal bisogno di concentrazione e dall'autodisciplina proprie
del suo carattere e della sua attività.
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