ALFRED TENNYSON, THE LADY OF SHALOTT

 

 

The Lady of Shalott è un poema romantico scritto da Sir Alfred Tennyson (1809-1892). Come altri poemi iniziali dell'autore - Sir Lancelot and Queen Guinevere e Galahad - anche questo rielabora la "materia di Bretagna" e il soggetto arturiano a lui particolarmente cari, basati su fonti medievali, introducendovi alcuni temi che si realizzeranno con maggiore compiutezza negli Idylls of the King (1856-1885).

Del poema Tennyson scrisse due versioni, una nel 1833, composta di venti strofe, e una nel 1842 di diciannove strofe, leggibile integralmente qui con la traduzione italiana; esso è basato probabilmente su una storia di Thomas Malory, La Morte d'Arthur: la protagonista, la "Dama di Shalott" del titolo, è Elaine di Astolat. Tennyson tuttavia affermò che il poema era ispirato piuttosto ad una novella italiana del tredicesimo secolo intitolata Donna di Scalotta, che però appare alquanto diversa, mancando degli elementi essenziali del suo isolamento nella torre e della sua fatale decisione di partecipare al mondo esterno liberandosi della schiavitù dello specchio, che la tiene sì in vita, ma prigioniera delle ombre.

 

 

Sir Alfred Tennyson

 

Elaine era stata colpita da una terribile maledizione ad opera della sua implacabile carnefice, Morgana, sorellastra di Artù, ritenuta una potente incantatrice.

Questo aveva visto, infatti, Morgana in una visione: Lancillotto si sarebbe innamorato di Ginevra, rovinando il matrimonio di Artù; ma quando Lancillotto avrebbe incontrato Elaine, avrebbe dimenticato Ginevra per lei, salvando così l'unione tra Ginevra e Artù. E questo Morgana non poteva permetterlo, perché così non avrebbe mai potuto regnare assieme ad Artù, sebbene il loro amore fosse incestuoso, e suo figlio Mordred (avuto proprio da Artù) non avrebbe mai potuto salire sul trono. Così Morgana l'aveva maledetta mentre era ancora nel ventre materno: se mai avesse guardato verso la towered Camelot, la Città del Re, sarebbe morta.

Questo avrebbe detto Morgana alla madre di Elaine:

"Tua figlia sia maledetta, Lady Maere, che ella non possa mai guardare il mondo dalla sua finestra e che non possa mai uscire dalla rocca o il prezzo sarà una morte atroce. Io Morgana Pendragon, figlia di Ygrajne, la maledico ora nel tuo grembo, affinché la vita che porto nel mio ne sia pegno. Nulla potrà spezzare questa maledizione e per il nome di tua figlia io ti proibisco di parlare con chiunque di quanto hai sentito oggi, e gli dei mi siano testimoni."

Perciò la Signora di Shalott viveva sulla sua "isola silenziosa", chiusa in una torre, volgendo sempre le spalle alle finestre, e guardava il mondo, o meglio le ombre del mondo, attraverso un grande specchio appeso davanti a lei; intanto tesseva una magica tela con tutti i colori e le immagini di cui coglieva il riflesso.

I mietitori al lavoro nei campi d'orzo udivano, a volte, il suo canto lungo l'Avon nelle fredde ore dell'alba e pensavano che non fosse una creatura di Dio come tutti, ma un essere dotato di strani poteri: "Ecco la Maga, la Signora di Shalott!" bisbigliavano fra loro.
E intanto, nello specchio terso, passavano cavalieri, funerali di Signori, amanti, sposi, tutti diretti a Camelot.
Ma un giorno ella vide passare nello specchio un bellissimo cavaliere dai riccioli neri: era Lancillotto. Subito fu presa da un ardente desiderio di guardarlo nella realtà, poiché, come dice Tennyson, "era stanca delle ombre".

Dalla sua alta finestra lo cercò tra coloro che si recavano alla Città del Re. Ma non appena il suo sguardo si rivolse verso la "turrita Camelot", il grande specchio si spezzò da cima a fondo e la tela volò lontano...

...E lei seppe che doveva morire.
Scese, allora, sulle rive dell'Avon, salì su di una barca che la attendeva sotto un salice, scrisse sulla prua il suo nome e si abbandonò alla corrente.
Quando giunse sull'altra riva era morta.

Le genti di Camelot, che l'avevano seguita dalla sponda del fiume, accorsero a raccogliere il suo corpo e seppero il suo nome leggendolo sulla prua della barca.

Passò Lancillotto, che nulla sapeva (e mai avrebbe saputo) del destino comune e della maledizione; si soffermò a guardarla e disse soltanto: "Aveva un bel volto, la Signora di Shalott. Che Dio le conceda il Paradiso".

Così si chiude il poema (nella sua edizione definitiva).