Perutelli sostiene giustamente
che la conclusione
degli Adelphoe
ha sempre costituito
il nodo principale
per l’interpretazione
della commedia:
essa vede infatti
un inatteso rovesciamento
delle parti, per
cui Demea diventa
improvvisamente
il vincitore nei
confronti di Micione
e dei propri figli
e si dimostra addirittura
superiore al fratello in
generosità.
"Diderot, Lessing
e altri - egli
osserva - sottolineano
la stranezza di
questo sviluppo
e mostrano di non
gradire il finale
a sorpresa.
Vediamo
brevemente di che
si tratta.
Per
tutto il progredire
della commedia la
rigida educazione
imposta in campagna
da Demea al figlio
Ctesifone è
contrapposta a quella
liberale e permissiva
impartita in città
da Micione, fratello
di Demea, all’altro
figlio di Demea,
Eschino. La scelta
di Micione appare
sempre più
quella vincente,
finché
Demea è costretto
a rivedere tutta
la propria vita.
Affresco
romano raffigurante
maschere su uno
scaffale
Ai vv. 855 ss.
Demea, in un
monologo
amaro e sconsolato,
approda a conclusioni
che potrebbero cambiare
senso alla sua esistenza:
A
conti fatti, nessuno
nella vita è
stato tanto bravo
che la realtà,
la vecchiaia, l'esperienza
non gli abbiano
insegnato qualcosa
di nuovo; al punto
che quel che credevi
di sapere non lo
sai e quello che
mettevi al primo
posto, alla prova
dei fatti, lo scarti.
Così è
successo a me: la
vita spiacevole
che ho vissuto finora,
a traguardo ormai
vicino, l'abbandono.
E questo perché?
In realtà
ho scoperto che
per l'uomo non c'è
niente di meglio
della condiscendenza
e della comprensione.
Che sia vero può
facilmente capirlo
chiunque, guardando
me e mio fratello.
Lui ha trascorso
tutta la sua vita
nel dolce far niente,
nelle feste, sereno,
comprensivo, senza
offendere nessuno,
sorridente con tutti;
si è goduto
la vita e i soldi:
tutti ne parlano
bene, tutti lo adorano.
Io, il selvatico,
il duro, il cupo,
il parsimonioso,
il tetro, l'ostinato,
mi sono sposato:
quanti stenti ho
conosciuto allora!
Ho avuto due figli,
altre preoccupazioni.
Eh, via, mentre
mi dannavo per fare
il massimo per loro,
ho consumato la
mia vita e i miei
anni a risparmiare:
adesso, alla fine
dei miei giorni,
il frutto che ricavo
da loro in cambio
delle mie fatiche
è l'odio;
quell'altro senza
faticare si gode
i vantaggi che spettano
a un padre. Lui,
lo adorano, a me
mi schifano: a lui
confidano ogni loro
piano, gli vogliono
bene, stanno entrambi
a casa sua, io sono
stato abbandonato;
lui, si augurano
che viva, naturalmente;
quanto a me, invece,
aspettano che muoia.
Io li avevo tirati
su con una fatica
enorme, lui se li
è guadagnati
con poca spesa:
io mi prendo tutte
le disgrazie, lui
si gode tutte le
gioie. Su, su, visto
che mi sfida, proviamo
a vedere invece
cosa riesco a combinare
con una lusinga
o con un gesto benevolo.
Anch'io desidero
essere amato e stimato
dai miei cari: e
se questo si ottiene
con la generosità
e con la compiacenza,
non resterò
indietro. Mi mancherà
il denaro? Vecchio
come sono non me
ne importa nulla.
Ma
il pensiero di Demea
sembra completamente
contraddetto dalle
parole che egli
stesso pronuncia
a conclusione della
commedia, rivolgendosi
al fratello Micione
e poi al figlio
Eschino (984 ss.):
MICIONE
(a Demea): Ma cos'è
successo? Che cosa
ti ha fatto cambiare
d'un tratto le tue
abitudini? Che capriccio
è mai questo?
Cos'è quest'improvvisa
generosità?
DEMEA: Ti
dirò: è
per dimostrarti
che questi qua ti
considerano generoso
e simpatico non
perché hanno
una sana concezione
della vita e meno
che mai per giustizia
e onestà,
ma solo perché
tu li lusinghi e
li gratifichi, Micione.
Ora però
se questo è
il motivo per cui
odiate il mio modo
di vivere, Eschino,
siccome, giuste
o ingiuste che siano,
non amo le posizioni
radicali, la faccio
finita: spendete,
spandete, fate quel
che vi pare. Se
però c'è
qualcosa che, siccome
siete giovani, vedete
meno bene, desiderate
troppo, non ponderate
abbastanza, se vi
fa piacere che io
intervenga, vi corregga
o, quando è
opportuno, vi assecondi,
eccomi qua a vostra
disposizione.
ESCHINO: Ci
rimettiamo a te,
padre, tu sai meglio
di noi quel che
bisogna fare.
"Dunque
Demea, - scrive
ancora Perutelli
- che poco prima
sembrava sconfitto
su tutta la linea
e si vedeva costretto
a rinunciare alle
regole che avevano
guidato la sua vita,
adesso non solo
fa valere la giustezza
del proprio comportamento,
ma riesce a convincerne
il figlio.
Quanto
a Micione, ne
esce surclassato
dal nuovo Demea
sul piano del permissivismo
e della generosità
e per di più
è quasi costretto
suo malgrado a un
tardivo matrimonio,
che non sembra essergli
gradito.
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