MENANDRO E IL PROBLEMA EDUCATIVO

 

 

Cenni biografici

Nato ad Atene nel 342-1 a.C. da famiglia agiata, forse nipote del commediografo Alessi (il principale esponente della commedia "di mezzo"), Menandro fu discepolo di Teofrasto, filosofo peripatetico, autore dei Caratteri (che secondo molti studiosi esercitarono un notevole influsso sulla costruzione di certi caratteri tipici della commedia, soprattutto quella "di mezzo") e fu compagno di efebìa  e quindi coetaneo di Epicuro.

Dopo un primo incontro non proprio felice, testimoniatoci dal favolista Fedro, divenne amico di Demetrio Falèreo, anch'egli filosofo peripatetico e uomo politico, che governò Atene nel decennio 317-307, sotto il protettorato macedone, con una sorta di dispotismo illuminato. Quando questi fu cacciato da Atene, all'arrivo di Demetrio Poliorcète, e si trasferì alla corte dei Tolomei in Egitto, invitò Menandro a seguirlo, ma questi rifiutò, guadagnandosi così il soprannome di φιλαθηναιότατος ("amantissimo di Atene").

Menandro si tenne sempre lontano dalla vita politica, dedicandosi integralmente alla sua notevolissima produzione teatrale ed all’amore per le donne (la sua più duratura passione fu la celebre etèra Glìcera).

Morì appena cinquantenne ad Atene, si dice mentre nuotava al Pireo.

 

 

Menandro

 

La “resurrezione” di Menandro

La produzione di Menandro fu fertilissima: di lui gli antichi conoscevano più di cento commedie. Questa imponente produzione andò però inspiegabilmente perduta, e quando i testi dell’antica Grecia ricomparvero in Europa durante l’età umanistica, poco prima della caduta dell'Impero romano d'Oriente ad opera dei Turchi (1453), Menandro era uno dei grandi assenti.

Fino alla metà del 1800 la nostra conoscenza di Menandro si limitava a circa 900 frammenti di tradizione indiretta, assolutamente insufficienti a dare un'idea della sua arte; di conseguenza la nostra valutazione si basava quasi interamente sulla rielaborazione che ne avevano fatto sia Plauto sia Terenzio (soprattutto quest'ultimo, che si permise molto minor libertà nel rimaneggiamento e nella contaminatio), con tutti i dubbi del caso: era infatti impossibile sapere quale fosse il grado di libertà che i due autori si erano concessi rispetto all'originale.

Ma nel 1820 il papiro Didot ci ha restituito versi di una commedia di incerta identificazione; nel 1844, poi, da un codice del monastero di Santa Caterina sul Sinai (oggi a Pietroburgo), tornarono alla luce tre frustoli relativi al Phàsma (L’apparizione) e agli Epitrépontes (L’arbitrato). Durante l’800 si susseguirono altre scoperte importanti, ma non risolutive. Il secolo della svolta è stato il '900: nel 1907 un papiro del Cairo (il papiro Cairensis, detto anche papiro Lefèbvre), ha riportato alla luce ampi brani di Eroe, Epitrèpontes, Perikeiromène (La ragazza tosata), Sàmia (La ragazza di Samo) e di una commedia anonima; del 1957 è il ritrovamento più clamoroso: il papiro Bodmer ci ha restituito per intero il Dyskolos (Il misantropo o Il selvatico o ancora Il bisbetico), un'altra parte della Sàmia e parte dell'Aspìs (Lo scudo); nel 1964 da un volumen della Sorbona del III secolo a.C. che era stato usato per il cartonnage di una mummia (Papiri della Sorbona 2272 e 2273) furono pubblicati più di 400 versi del Sikyònios (L’uomo di Sicione), mentre a partire dal 1965 da vari frammenti papiracei (soprattutto il papiro Turner, scoperto nel 1977) ci sono giunti circa 600 versi del Misùmenos (L’odiato) e più di cento versi del Dis exapatòn (Il doppio ingannatore): quest’ultima fu una scoperta fondamentale perché per la prima volta ci ha dato la possibilità di verificare i modi di rielaborazione di un originale di Menandro ad opera di Plauto (nelle Bacchides).

Attualmente siamo dunque in possesso di un'opera completa, il Dyskolos, e di altre quattro commedie incomplete, ma rappresentate da frammenti abbastanza consistenti da poterne seguire lo sviluppo quasi per intero: Sàmia, Perikeiromène, Epitrèpontes e Aspìs.

Tutto questo ci ha finalmente consentito di esprimere un giudizio circostanziato sull'opera di Menandro e sui suoi rapporti con i poeti latini, soprattutto Terenzio.

 

La drammaturgia di Menandro

Menandro detiene probabilmente la palma di autore più frainteso, o quanto meno variamente giudicato, della letteratura greca. Gli ha spesso nuociuto il confronto, francamente improponibile e fuorviante, con Aristofane. Cerchiamo di far luce in una questione oggettivamente complicata.

La commedia di Menandro ha una struttura completamente diversa da quella di Aristofane: si articola in cinque atti e segue le unità di tempo e di luogo.  L’azione si svolge in una sola giornata e sulla scena si apre uno spazio pubblico in cui spesso compaiono due o tre edifici: può così accadere che personaggi separati da anni si trovino ad abitare accanto. Il numero degli attori rimane fisso a tre, che recitavano anche le parti femminili. Il coro è assente e così pure la musica; ne consegue che la versificazione si orienta decisamente verso il più prosastico dei metri (la definizione è di Aristotele), il trimetro giambico, lo stesso delle parti dialogate della tragedia.

Anche i temi sono in radicale antitesi con quelli aristofanei, che, come si ricorderà, erano tutti centrati sull'impegno politico: la commedia menandrea sviluppa vicende private, “borghesi”, imperniate fondamentalmente sul tema amoroso, e gli innamorati coronano il loro sogno d’amore nell’immancabile lieto fine. Questo fa di Menandro il vero e proprio precursore del "dramma borghese" ottocentesco.