Esiste
un bel saggio di
Igor Principe
(leggibile per intero
qui)
che delinea con
efficacia e senza
ipocrisie il ritratto di
un Richard Wagner
teorico ed assertore
dell'antisemitismo
e precursore del
nazismo. Lo
riporto di seguito,
integrandolo con alcuni miei
commenti.
"Era
domenica, e dopo
essersi fatto maltrattare
per parecchi giorni
di seguito dal signor
Brecht, come ricompensa
aveva potuto accompagnare
sua madre al Teatro
Civico a sentire
il Lohengrin. La
gioiosa attesa per
quella serata gli
aveva riempito tutta
la settimana (...). Non si crede
al lunedì,
quando la domenica
sera si deve andare
ad ascoltare il
Lohengrin. (...)
Poi la felicità
era diventata realtà.
Era scesa su di
lui, consacrazione
e delizia, con i
suoi brividi segreti,
i palpiti, i singhiozzi
improvvisi dell'anima,
esuberante e insaziabile
ebbrezza. (...)
La dolce, trasfigurata
magnificenza dei
suoni che udiva,
lo sollevò
al di sopra di tutto...
Poi venne la fine.
La gioia canora,
sfolgorante, era
ammutolita e spenta;
con la testa in
fiamme si era trovato
a casa, nella sua
camera, e si era
reso conto che solo
qualche ora di sonno
là nel suo
letto lo separava
dalla triste realtà
quotidiana (...).
Aveva sentito quanto
male ci possa fare
la bellezza, come
possa gettarci nella
vergogna e nella
struggente disperazione,
e possa consumare
anche il coraggio
e la capacità
di vivere la vita
comune".
E',
questa, una memorabile
pagina de I Buddenbrook,
nella quale Thomas
Mann disegna magistralmente
l'effetto prodotto
dalla musica di
Richard Wagner nell'animo
del piccolo Hanno,
ultimo esponente
della decadente
dinastia anseatica.
Una musica totalizzante,
oltre la quale sembra
non esserci più
nulla; e una musica
molto amata dal
grande scrittore
tedesco, che proprio
a Richard Wagner
si ispirò
nel creare la figura
di Gustav von Aschenbach,
protagonista de
La morte a Venezia.
Tuttavia, una musica
pericolosa, espressione
di una superiorità
tedesca che nel
XX secolo tentò
di affermarsi dando
vita all'immane
tragedia che tutti
conoscono.
Molto
è stato scritto,
a riguardo, da critici
divisi: da una parte
chi ha indovinato
negli ufficiali
nazisti - che si
inebriavano di potenza
ascoltando Wagner
- dei biechi strumentalizzatori
di insuperabili
pagine musicali;
dall'altra chi,
invece, pur riconoscendone
l'immenso valore
artistico, non ha
esitato nell'evidenziare
presenze inquietanti
tra le righe dei
pentagrammi wagneriani.
Caesar
Willich, Ritratto
di Wagner, 1862
circa
Robert
W. Gutman, autore
di una bella biografia
del musicista, è
categorico: "Purtroppo
un protonazismo,
che si esprime soprattutto
attraverso un'inestinguibile
ripugnanza per gli
ebrei, fu uno dei
principali Leitmotive
di Wagner, e i velenosi
viticci dell'antisemitismo
avvolgono la sua
vita e la sua opera.
Negli ultimi anni
il suo odio si spinse
più in là,
sino a comprendere
i popoli con la
pelle nera e gialla".
Non
si può prendere
alla leggera questo
atteggiamento, quasi
fosse un capriccio
inopportuno o un
trascurabile difetto
di un protagonista
della musica. Coloro
i quali lamentano
che, collegando
il nome di Wagner
con quello di Hitler,
si reca offesa al
genio creatore del
nobile Hans Sachs
(protagonista de
I maestri cantori
di Norimberga, N.d.R.)
e del cristiano
Parsifal non hanno
mai aperto, oppure
hanno richiuso in
fretta, i volumi
delle lettere e
dei saggi in cui
Wagner espone in
modo inequivocabile
il suo programma
politico".
Difficile
dargli torto: in
effetti non si capisce
proprio sulla base
di cosa altri critici
si sforzino tutt'oggi
di negare una
precisa dipendenza
tra il nazismo e
il suo principale
ispiratore,
che fu appunto Wagner;
lo stesso problema,
come abbiamo visto,
si pone per Nietzsche.
Hitler, insomma,
viene sistematicamente
tacciato di avere
"frainteso"
fenomeni culturali
che, invece, conosceva
benissimo ed
aveva approfondito
con estrema cura
fin da giovanissimo.
Forse un po' più
di umiltà
gioverebbe a buona
parte della critica
contemporanea.
Prima ancora
degli
scritti e delle
opere che più
esprimono il Wagner
politico, esiste un fatto di indubbia
rilevanza psicologica
che testimonia fino
a che punto si spingesse
l'antisemitismo
di Richard.
Secondo gli atti
ufficiali Richard
Wagner nacque nel
1813 a Lipsia, in
Sassonia, da Carl
Friedrich Wagner
e da frau
Johanna. In realtà,
l'opinione corrente
riconosceva in Ludwig
Geyer, attore e
cantante, il vero
padre di Richard;
e in effetti, fino
all'età di
quattordici anni,
il futuro musicista
fu da tutti conosciuto
come Richard Geyer,
cognome che in seguito
abbandonò
per tornare a quello
del padre ufficiale.
Pochi mesi
dopo la nascita
del piccolo, Carl
Friedrich Wagner
morì
di tifo, e Geyer
poté diventare
ufficialmente il
secondo marito di
Johanna; un padre
che il piccolo Richard
amava molto.
Ebbene,
nonostante l'affetto
per Ludwig Geyer,
Richard in seguito lo
rinnegò
proprio a causa delle sue
presunte ascendenze
ebraiche.
E'
sconcertante scoprire
che, oltre tutto,
l'ebraismo di Geyer
si basava su pure
e semplici congetture:
quel cognome, che
significa "avvoltoio",
veniva associato
a quello ebreo Adler,
cioè "aquila";
inoltre, il fisico
magro, il naso adunco,
la testa di grosse
dimensioni - tutti
elementi che ignoranza
e pregiudizio leggevano
come tipicamente
ebraici - completavano
l'opera.
Ma ricerche condotte
nell'albero genealogico
di Geyer dimostrano
che nessuno dei
suoi antenati era
di stirpe ebraica.
"L'isterico
antisemitismo che
lo accompagnò
inesausto per tutta
la vita -
scrive Gutman -
potrebbe
essere nato dai
tentativi di dimostrare
una purezza ariana.
Nondimeno, a dispetto
dei suoi sforzi,
parte dell'Europa
intellettuale continuò
a considerarlo ebreo,
e questa convinzione
persiste".
E' lo stesso sospetto
che più volte
è stato sollevato
a proposito di Hitler.
Può
darsi che sia così:
ma questo, a mio
parere, non spiega
niente, nel senso
che non si tratta
di
una causa, ma di
una
conseguenza. A monte
di tutto sta la
vera e propria fobia
di Wagner per la
razza ebraica, così
esasperata da arrivare al punto di
fargli rinnegare
i suoi affetti
più cari
pur di apparire
"ariano".
Eppure, in
evidente contraddizione
con tutto questo, quando nel
1870 Nietzsche si
occuperà
della pubblicazione
di Mein Leben
("La
mia vita"), l'autobiografia
di Wagner, questi
gli chiederà
imprimere sulla
copertina, come
emblema decorativo,
un avvoltoio.
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