Le
conoscenze musicali
di D’Annunzio
In
realtà
pare che
le conoscenze
tecniche del
poeta fossero
piuttosto
scarse e che
la maggior parte
delle sue nozioni
fossero tratte
da libri di
storia della
musica allora
molto diffusi;
ed è
certamente priva
di fondamento
la diceria che
D'Annunzio fosse
un vero musicista,
come egli volle invece
far credere
più volte
nella sua corrispondenza,
o quando nel
1923 annunciò
alla stampa
che avrebbe
scritto e composto
un dramma francescano
in musica dal
titolo Frate
sole. Non
tutti
ricordano
che egli prese
lezioni di pianoforte
sotto la guida
del maestro
Odoardo Chiti,
che però
poco aggiungono
alla sostanza
del discorso.
Ciò
che emerge è
semmai la dimensione
di erudito con
grandi capacità
di assorbimento
ed elaborazione,
che lo portarono
a manipolare
linguisticamente
in modo molto
proficuo le
sue basilari
conoscenze musicali.
D’Annunzio era
un "colto
dilettante"
che aveva imparato
ad apprezzare
la musica durante
le frequentazioni
dei salotti
mondani e durante
i concerti ascoltati
a Roma.
Di
questi ascolti
ci rimane testimonianza
in alcune recensioni
apparse su "La
Tribuna".
Leggendo questi articoli
ci si rende
immediatamente
conto di quale
fosse in fondo
il reale atteggiamento
di D'Annunzio
nei confronti
dell'arte dei
suoni: in una
di queste recensioni,
per esempio,
la "prima"
del Lohengrin
(Bridal Chorus
n. 1) non è
occasione per
soffermarsi
sui dati tecnici
ed estetici
dello spettacolo,
ma diventa pretesto
per dilungarsi
in una dettagliata
descrizione
dei vestiti
e dei gioielli
esibiti dalla
nobiltà
romana più
in vista, per
fare mondane
annotazioni
di costume,
e per finire
a fantasticare
sui riccioli
neri della bella
sconosciuta
del terzo palco
del secondo
ordine. Raramente
D'Annunzio si
sofferma a commentare
in dettaglio
la qualità
esecutiva o
compositiva
dei brani eseguiti
nel corso della
serata.
Gabriele
D'Annunzio
La
musica di Wagner
nell'opera di
Gabriele D'Annunzio
Raffaele
Pozzi approfondisce
in un suo saggio
(Mimesi
e seduzione.
Presenza della
musica nell'opera
di Gabriele
D'Annunzio,
in Musica,
storia, cultura
ed educazione.
Riflessioni
e proposte per
la scuola secondaria
superiore
di Concetta
Assenza e Benedetto
Passannanti,
Milano, FrancoAngeli, 2001)
i tratti identificativi
della "musicalità" notoriamente considerata
uno dei tratti fondamentali dello stile letterario di Gabriele D'Annunzio, mettendo
però
in particolare
risalto, a mio
parere in modo
assolutamente
corretto, il
fortissimo tributo che
egli paga non
tanto alla musica
in genere, quanto
alla musica
di Wagner in
particolare.
"Il
ricorso alla fascinazione sonora della parola, - scrive Pozzi - la ricerca dell'artificio
sensuale furono fattori che contribuirono a determinare la fortuna
critica dello scrittore, ma anche a sollevare severe riserve nei suoi confronti.
Benedetto Croce, ad esempio, gli rimproverò proprio un
"atteggiamento di dilettante delle sensazioni", un virtuosismo
verbale che nasconde la povertà "di Mida, condannato a
tramutare in oro, nell'oro della sensazione, tutto quanto
tocca" (Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia,
Bari, Laterza, 1940, vol. VI, pag. 262). Lo studio di questo aspetto
della creatività dannunziana, comunque lo si consideri, è fondamentale e mette
in luce una presenza articolata e continua della musica nella sua vicenda umana
e artistica. Tale presenza, legata all'estetica del Decadentismo europeo, esercitò
un influsso assai notevole sul gusto artistico e culturale tra
Ottocento e Novecento.
Con l'allestimento in Italia delle opere di Richard
Wagner, aperto dalla celebre "prima" del Lohengrin a
Bologna nel 1871, le animate discussioni sul "musicista dell'avvenire",
già avviate intorno alla metà dell'Ottocento, si trasformarono in un'accesa
querelle. L'edificazione dello Stato unitario, il fronteggiarsi nell'Italia
post-risorgimentale di istanze democratiche e borghesi, di positivismo e
idealismo, di nazionalismi e internazionalismi fanno da sfondo al dibattito pro
o contra Wagner. Dietro il moto di accettazione o di ripulsa nei confronti del
compositore tedesco si intravede il problematico tentativo di costruire un'identità
nazionale. Wagner viene infatti considerato da molti suoi detrattori un
compositore la cui nuova concezione del dramma musicale rischiava di corrompere
la tradizione dell'opera italiana.
Ma, come già Nietzsche (si veda
il fondamentale
saggio La nascita
della tragedia dallo spirito della musica del 1871), così anche D'Annunzio, in una
celebre stroncatura del 1892, prende le distanze dal melodramma verista
italiano, schierandosi decisamente dalla parte dei wagneriani. A questo
proposito, recensendo Il caso Wagner di Nietzsche, scriverà su "La
tribuna": "Soltanto alla musica è oggi dato esprimere i sogni che
nascono nelle profondità della malinconia moderna, i pensieri indefiniti, i
desiderii senza limiti, le ansie senza causa, le disperazioni inconsolabili,
tutti i turbamenti più oscuri e angosciosi che noi abbiamo ereditato dagli Obermann,
dai René. [...] Riccardo Wagner non soltanto ha raccolto nella sua opera tutta
questa spiritualità e queste idealità sparse intorno a lui, ma, interpretando il
nostro bisogno metafisico, ha rivelato a noi stessi la parte occulta della
nostra intima vita" (Gabriele D'Annunzio, Il caso Wagner e la genesi
del "Parsifal", Firenze, quattrini, 1914, pagine 25-26).
L'opera
letteraria che sancisce il nuovo wagnerismo di D'Annunzio è il
romanzo Il trionfo della
morte, pubblicato nel 1894. In esso le tecniche analogiche adottate a
partire dal Piacere, basate su temi ricorrenti di esplicito contenuto musicale,
evolvono in una prosa coscientemente organizzata per Leitmotive, per temi
conduttori. La passione del protagonista Giorgio Aurispa per il Tristano e
Isotta di Wagner, le vicende del suo amore tragico per Ippolita Sanzio, gli
ideali superomistici nietzscheani sono i punti focali di un percorso narrativo che
ha come intento letterario la fondazione di un nuovo romanzo. D'Annunzio ne
espone con chiarezza i termini nella prefazione dell'opera, dedicata a
Francesco Paolo Michetti. In essa lo scrittore dichiara il proprio
"proposito di fare opera di bellezza e di poesia, prosa plastica e
sinfonica, ricca di imagini e di musiche". Lo stesso linguaggio
positivistico, si noti, più che respinto viene inglobato nel progetto di
rinnovamento letterario. Notando come i nuovi romanzieri italiani siano inclini
alla psicologia, lo scrittore sottolinea come "gli psicologi in ispecie
hanno per esporre le loro introversione un vocabolario d'una ricchezza
incomparabile", ma anche "elementi musicali così varii e così efficaci
da poter gareggiare con la grande orchestra wagneriana nel suggerire ciò che
soltanto la Musica può suggerire all'anima moderna" (Gabriele D'Annunzio,
A Francesco Paolo Michetti, in Trionfo della morte, Roma, Newton Compton, 1995,
pag. 11).
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