La
musica nell’opera
di D’Annunzio
Il
valore musicale
della prosa
e della poesia
di D’Annunzio
è tanto
evidente che
alcuni critici
(ad esempio
G. Donati Petteni,
in D’Annunzio
e Wagner, Le
Monnier, 1923)
hanno proposto
di leggerne
i romanzi come
composizioni
musicali nelle
quali ricorrono
dei temi conduttori,
similmente ai
Leitmotive wagneriani.
Della musica
di Wagner D'Annunzio
fu un
ammiratore entusiasta: non
solo infatti
ne riecheggiò
lo spirito e
le modalità
compositive
nelle proprie
opere, ma scrisse
anche saggi
critici ed
articoli sulla
musica del grande
compositore
tedesco; pochi sanno,
fra l'altro,
che
fu autore anche
di
un saggio
dedicato al
Parsifal, intitolato
La musica
di Wagner e
la genesi del
Parsifal (Firenze,
Quattrini, 1914),
in cui prendeva
le difese
del compositore
tedesco
violentemente
attaccato da
Friedrich
Nietzsche.
Il
caso Wagner
era inoltre,
come vedremo, il titolo
di una serie
di tre articoli
che D'Annunzio
aveva pubblicato in
precedenza,
nel 1893,
sulla "Tribuna",
influenzato
dall'omonimo pamphlet
di Nietzsche; ma laddove
il filosofo
criticava aspramente
Wagner per il
presunto tradimento
rappresentato
dal Parsifal,
D'Annunzio,
come s'è
detto, lo difese
risolutamente,
e questo pur
condividendo
in gran parte
i princìpi
della filosofia
nietzscheana.
D'Annunzio
fu, in effetti,
il primo scrittore
italiano ad
ammirare Wagner,
espressamente
citato nel Fuoco,
ma anche nel
Piacere e nel
Trionfo della
morte; proprio
al funerale
di Wagner sono
dedicate le
ultime pagine
del Fuoco. Prima
di lui soltanto
un altro padre
delle lettere
italiane, Carducci,
gli aveva dedicato
un verso: "O
come quando
Wagner possente
mille anime
intona/ai cantanti
metalli".
Gabriele
D'Annunzio
Tuttavia,
come osserva
Federica Venezia
in un suo articolo
dal titolo Il
volto divino
del mondo. D'Annunzio
e la musica,
"risulta
ancora poco
conosciuto il
rapporto estetico-ritmico-sensuale tra
D'Annunzio e
la musica",
così
come sono poco
note le sue
effettive conoscenze
musicali: vale
dunque la pena
approfondire
la questione.
"Per
il Vate - scrive la
Venezia - la musica
è un
elemento base
della vita;
è, anzi,
una forza della
vita, tanto
da poter affermare:
"Io sono
un uomo per
il quale il
mondo sonoro
esiste".
Prima ancora
della musica
vera e propria,
il mondo sonoro
è per
D'Annunzio un
incanto, dunque
non solo realtà.
L'amore
per la cosiddetta
"Arte Primigenia"
è già
presente nel
Gabriele quindicenne,
che nella lirica
Nox di Primo
Vere diceva:
" ...e
li usignoli
tra le fronde
cantano un bel
notturno in
fa minore: allungansi
le note molli,
carezzose, limpide...";
a sedici anni
in Palude: "Quivi
non dolce canto
di lieto augello
al tramonto
rompe 'l silenzio
lungo, rallegra
i nostri cuori:
i patrii stornelli
non balzano
quivi da 'l
petto con i
giocondi nomi
d'amore e di
speranza".
Il
Trionfo della
Morte (1894)
è
l'opera che
meglio esprime
il complesso
rapporto di
D'Annunzio con
la musica di
Wagner. Nel
romanzo, come
una specie di
Leitmotiv
che riempie
lo sfondo dell'eremo
di SanVito,
il Tristano
e Isotta - che
era in voga
all'epoca -
riecheggia in
tutto il suo
splendore. L'ultima
parte del
Trionfo
contiene un'analisi
del Tristano
in cui lo scrittore
pescarese si
riconosce appieno; nel
preludio, l'anelito
dell'amore verso
la morte si
manifesta con
straordinaria potenza:
Ma
nel preludio
del Tristano
e Isolda l'anelito
dell'amore verso
la morte irrompeva
con una veemenza
inaudita, il
desiderio insaziabile
si esaltava
in una ebbrezza
di distruzione.
"...Per
bere laggiù
in onor tuo
la coppa dell'amore
eterno, io voleva
consacrarti
con me sul medesimo
altare alla
morte."
E
quell'immenso
vortice di armonie
li avviluppò
entrambi irresistibilmente,
li serrò, li
trascinò;
li rapì nel
"meraviglioso
impero".
Di
questo brano,
forse, si ricorderà
pochi anni
più tardi
Thomas Mann,
quando dedicherà
a quest'opera
un celebre passo di
un suo
romanzo breve,
intitolato,
non a caso,
Tristano:
E continuarono attraverso i canti inebriati di quel sacro mistero. Poteva, mai, morire, l'amore? L'amore di Tristano? L'amore della mia, della tua Isotta ?
Oh, i colpi della morte non raggiungono gli eterni!
Che cosa può morire se non ciò che ci irretisce, ciò che,
ingannevole, divide coloro che sono uniti? Con una dolce E l'amore li univa... se la morte la lacerava, come
poteva scendere, se non con la vita dell'uno, sull'altro
la morte? E un duetto colmo di mistero li unì nella speranza senza nome della morte di amore, di un essere
avvolti, all'infinito e inseparati, nel regno miracoloso della notte. Dolce notte! Eterna notte d'amore! Terra, che
tutto avvolge, della beatitudine! Chi ti vede nel presagio,
come può ridestarsi senza dolore al giorno deserto? Bandisci il dolore, morte gentile! Disciogli ormai costoro, che
sono colmi di desiderio, della pena del risveglio! Oh, scatenata bufera dei ritmi! Oh, estasi cromatica ascendente
della conoscenza metafisica! Come afferrarla, come lasciarla, questa voluttà remota dal dolore della separazione della luce? Soave desiderio, libero dall'inganno e dal
dolore, nobile, indolore spegnimento, beatissimo affondare nell'immisurabile! Tu Isotta, io Tristano, non più
Tristano, non più Isotta!
(Thomas
Mann, Tristano,
1903)
Ma
il poeta fu
in grado
di ispirare
anche Claude
Debussy:
a Parigi infatti
egli scrisse Il Martirio di San Sebastiano nel 1911,
che affascinò
profondamente
il compositore.
Qui D'Annunzio si era recato in volontario esilio, ed in questa breve ma intensissima
parentesi frequentò il bel mondo e numerose donne, tra cui Ida
Rubinstein, celebre danzatrice russa. A lei dedicò l’opera, che verrà
musicata da Debussy e interpretata da Ida nel ruolo di San
Sebastiano. Un trionfo, ma anche uno scandalo per l’epoca, tanto che
l’arcivescovo di Parigi chiese ai cattolici di non andare a vederlo
perché la parte di San Sebastiano era affidata a una donna e ad una
ebrea.
Il Vate
amò e
citò
nelle sue opere
anche Beethoven:
ne Il Piacere
sono ricordate
le due Sonate-Fantasie
(op. 27) tra
le quali si
trova il famoso
Chiaro di Luna.
Anche la Nona
sinfonia è
ricordata dal
poeta ne Il
Fuoco, ove
egli mette
in particolare
risalto il
Coro, che rappresenta
nella raffigurazione
dannunziana
lo strapotere
del genio e
la lotta con
se stesso.
Da
sottolineare,
poi, le notevoli
affinità
che legano D'Annunzio
al compositore
russo Aleksandr Skrjabin
(1872-1915):
seppure infatti
il loro campo d’azione sia stato differente, tuttavia
D’Annunzio, secondo le sue stesse affermazioni, aspirò per tutta la vita a
risolvere la poesia in musica, come Skrjabin tese sempre a illustrare
la propria musica con la poesia. Non abbiamo prove, però, che i due
artisti si
siano conosciuti personalmente, né che il musicista abbia letto
qualcosa di D’Annunzio, sebbene il poeta sia stato tradotto in russo da
Jurgis
Baltrusajtis, amico fraterno di Skrjabin; è anche poco probabile che
D’Annunzio abbia conosciuto gli scritti di
Skrjabin, che a quell’epoca non circolavano se non in lingua russa, ma
non è escluso che ne conoscesse le teorie estetiche, che i suoi
numerosi discepoli rendevano note in Europa; certo è che, dal momento in cui
conobbe la sua musica, ne divenne un appassionato cultore.
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