ESCHER E GLI SPECCHI

 

 

Tra le raffigurazioni dedicate a superfici convesse riflettenti, spesso delle sfere, il grafico olandese colloca la mezzatinta Goccia di rugiada che sfrutta un soggetto naturalistico per mostrare la sua idea di compenetrazione di spazi e quella di specchio come protesi in grado di estendere la capacità del nostro occhio: su una foglia di una pianta grassa una goccia di rugiada riflette infatti una finestra, creando una tensione verso qualcosa che non è rappresentato nel quadro e che altrimenti non potremmo vedere.

 

 

Escher, Goccia di rugiada, 1948

 

L'acqua inoltre non ha solo la funzione di specchio, bensì anche di lente che ingrandisce le nervature della foglia e le particelle d'aria intrappolate tra la foglia e la goccia di rugiada, unendo tre elementi del reale nel medesimo tempo.

Escher realizza tre suggestivi autoritratti, avvicinabili al famoso Autoritratto nello specchio convesso del Parmigianino, utilizzando le proprietà di deformazione e di aumento della superficie riflettente che gli specchi convessi consentono: l'illusione di vedere un altro mondo con spazi e volumi quando si è di fronte a degli specchi piani lascia quindi il posto alla deformazione e all'aberrazione di quelli convessi, che, come protesi, permettono di ottenere una visione più completa dell'ambiente in cui si trova chi si sta specchiando (11).

Francesco Mazzola detto il Parmigianino, Autoritratto in specchio convesso, 1524 circa

In Natura morta con sfera riflettente una bottiglia di vetro cattura l'immagine di Escher e del suo studio mentre disegna gli oggetti che ha davanti, un libro, un giornale e uno strano uccello babilonese, i quali sono allo stesso tempo "reali" e riflessi, esprimendo lo stupore escheriano per le possibilità della rappresentazione e per le enigmatiche relazioni tra le cose. E' il mistero dello spazio quotidiano che colpisce l'immaginazione del grafico insieme alla capacità dello specchio di connettere differenti piani d'esistenza: il giornale, per esempio, è rappresentato nella litografia sia come oggetto "reale" di fronte all'autore, sia come disegno che sta nascendo dalle sue mani, sia infine come riflesso sulla sfera.

 

 

Escher, Natura morta con sfera riflettente, 1934

 

L'artista che si specchia e si osserva come esterno rispetto al mondo raffigurato nella stampa risulta essere anche il creatore di ciò che sta guardando. Tramite il riflesso infatti la dimensione del produrre l'opera entra nell'opera stessa, perché davanti a sé Escher ha il disegno finito e il momento in fieri della sua realizzazione: lo specchio sembra così comprendere e catturare ogni cosa in una spirale di riflessi di riflessi di riflessi in cui ci si potrebbe inoltrare all'infinito.

In Mano con sfera riflettente Escher compone di nuovo quello che percepisce direttamente, vale a dire la sua mano, e quello che la sua vista non raggiungerebbe senza l'ausilio della sfera, vale a dire se stesso nella stanza deformata e ampliata: due mondi sono presenti contemporaneamente mentre la superficie sferica viene a coincidere con l'ambiente circostante innescando, all'interno della litografia, una dialettica tra ciò che sembra "reale" e ciò che invece non lo è poiché è un riflesso.

 

 

Escher, Mano con sfera riflettente, 1935

 

La descrizione in terza persona che l'autore ci offre del suo autoritratto è a questo proposito significativa: "Sulla mano del disegnatore c'è una sfera riflettente. In questo specchio egli vede un'immagine molto più completa dell'ambiente circostante, di quella che avrebbe attraverso una visione diretta. Lo spazio totale che lo circonda - le quattro pareti, il pavimento e il soffitto della sua camera - viene infatti rappresentato, anche se distorto e compresso, in questo piccolo disco. La sua testa, o più precisamente, il punto fra i suoi occhi, si trova nel centro. In qualsiasi direzione si giri, egli rimane il punto centrale. L'ego è invariabilmente il centro del suo mondo" (M.C. Escher, Grafica e disegni, cit., p. 13).

Una curiosità: soffermandosi sull'immagine ci pare di vedere la mano sinistra di Escher che regge la sfera riflettente, ma il grafico ci avverte che in realtà ciò che stiamo guardando è la sua mano destra perché una stampa è speculare al disegno originale su pietra, informandoci inoltre che è mancino e che per disegnare usa quindi la mano sinistra. Un effetto specchio entra così anche nella realizzazione materiale delle sue litografie dove si innesca un gioco tra mano destra e sinistra e una confusione tra realtà e riflesso, che ribalta più volte la nostra percezione del reale, amplificando l'aspetto illusorio della raffigurazione.

 


 

(11) Riguardo alle sfere convesse e riflettenti utilizzate da Escher, il matematico Bruno Ernst, che conobbe e discusse a lungo con il grafico olandese i significati delle sue immagini, afferma: "Una semplice costruzione derivata dalla geometria ottica ci insegna che tutto questo mondo riflesso si trova in un piccolo settore all'interno della sfera riflettente e che, in teoria, l'universo intero, con eccezione della parte appena dietro la sfera, potrebbe specchiarsi in una sfera simile", in Lo specchio magico di M.C.Escher, Taschen, Köln 1996, p. 73.